Grazie all’associazione Bergamo Smart City & Community, la città ha sviluppato progetti concreti che spaziano dalla digitalizzazione dei servizi al crowdfunding civico, fino alla sicurezza urbana e alla sostenibilità energetica
Negli ultimi anni si è riconfermata stabilmente tra le città più innovative del nostro Paese, come dimostra il posizionamento nell’iCity Rank 2024, la ricerca di FPA che misura la trasformazione digitale dei 108 Comuni capoluogo. Il risultato non è frutto del caso, ma di una strategia precisa: utilizzare la tecnologia per semplificare la vita dei cittadini e rendere i servizi pubblici più efficienti.
Un ruolo centrale in questo percorso è svolto dall’associazione Bergamo Smart City & Community, che dal 2014 coinvolge istituzioni, imprese e cittadini in progetti concreti per un’innovazione accessibile e utile. Lombardia Economy ha avuto l’occasione di parlarne con Giacomo Angeloni, assessore all’innovazione e semplificazione del Comune di Bergamo e presidente dell’associazione, per capire come la città abbia saputo scalare le classifiche e quali sfide la attendano.
Qual è il ruolo dell’associazione Bergamo Smart City & Community e in che modo coinvolge cittadini e istituzioni?

«Bergamo Smart City & Community punta a sviluppare azioni e iniziative incentrate sulla collaborazione tra imprese, ricerca, istituzioni, finanza e cittadini, con lo scopo di attivare un sistema virtuoso capace di fare rete, per incrementare la crescita occupazionale, sostenere l’attività economica e migliorare l’attrattività del nostro territorio.
L’associazione, eredità della giunta precedente, coinvolge oggi circa 24 soci – erano 7-8 quando siamo arrivati nel 2014 – ed è un punto di riferimento nell’uso della tecnologia, ma con un obiettivo chiaro: non basta implementare software e prodotti, serve semplificare la vita delle persone. La tecnologia può complicare la vita se non è progettata bene. Noi vogliamo che serva davvero. Diciamo sempre che una Smart City non esistese la tecnologia non viene usata al servizio dei cittadini».
Qualche progetto che siete riusciti a realizzare in questi anni?
«L’associazione ha lanciato, rilanciato o sviluppato progetti storici che hanno cambiato la quotidianità di chi vive la nostra città. Per quanto riguarda il Wi-Fi pubblico, partivamo da un sistema vecchio e che non funzionava bene: nel 2014-2015, in vista dell’Expo, è stato rivoluzionato, abbiamo riempito la città di 300 punti di accesso con una connettività in fibra.
Abbiamo poi lavorato per la realizzazione di un co-working sociale, uno spazio di lavoro condiviso con un approccio innovativo: offrire la possibilità di accedere a una postazione anche a chi non ha grandi risorse economiche, in cambio di un contributo alla comunità. L’idea alla base è semplice: chi utilizza lo spazio può scegliere di restituire valore attraverso attività di volontariato.
Questo significa che chi occupa un desk può mettere a disposizione le proprie competenze per progetti condivisi con l’associazione, ad esempio aiutando i cittadini a ottenere lo SPID o supportando iniziative locali. L’altro grande progetto su cui Smart City ha lavorato tanto è il tema del crowdfunding civico».
Parliamo appunto del crowdfunding civico, iniziativa innovativa che ha finanziato diversi progetti. Come funziona?
«Abbiamo sempre creduto nel crowdfunding civico. Ci siamo ispirati a esperienze “storiche”, sia italiane che europee, che mostravano un coinvolgimento attivo della cittadinanza. Dal 2017, grazie al supporto dei soci e dei finanziatori, Bergamo Smart City & Community propone alla città un bando di crowdfunding che consente di finanziare ogni anno 5-6 progetti che utilizzano la tecnologia al servizio dei cittadini. Questo ci permette di sostenere iniziative che nascono dal basso e rispondono a esigenze reali della città».
Quali sono le caratteristiche e i progetti principali che distinguono Bergamo nel panorama delle Smart Cities?
«Dal 2014 a oggi abbiamo fatto un grande salto nell’iCity Rank. Quando abbiamo iniziato eravamo al 48° posto, oggi siamo stabilmente ai vertici. Un risultato davvero eccellente considerando anche la differenza abissale di risorse che si registra tra le grandi città (le città metropolitane) e centri di media grandezza come Bergamo.
A livello nazionale la cosa positiva è che, a differenza di altri ambiti, l’innovazione digitale non ha subito stop con i cambi di governo: i fondi nazionali per Spid, PagoPA, Anagrafe nazionale, app IO hanno garantito continuità nei progetti. Ma innovazione non significa solo portare tecnologia, crediamo fermamente che occorra rinnovare la gestione e l’organizzazione dei servizi.
Negli anni ’90, Bergamo aveva 8-9 sedi dell’anagrafe decentrate, che sono state poi chiuse e riportate tutte in centro. Noi oggi stiamo facendo il contrario: apriamo sportelli nei quartieri. Il nostro obiettivo è chiaro: nessuno deve restare indietro. Gli sportelli comunali non devono limitarsi a gestire le richieste dei cittadini, ma imparare a guidarli affinché possano svolgere autonomamente le stesse pratiche online la volta successiva.
Per questo, l’operatrice dell’anagrafe non è più solo un’esecutrice di pratiche – ad esempio, il rilascio della carta d’identità – ma è diventata una figura polifunzionale, capace di assistere i cittadini e proporre loro soluzioni digitali semplici ed efficaci. Naturalmente, ci sarà sempre una fascia di popolazione meno incline al digitale e il Comune continuerà a garantire un servizio anche a queste persone. Siamo stati tra i primi in Italia a lanciare, nel 2018-2019, un portale dei servizi online con oltre 700 procedure digitalizzate.
Tuttavia, il rischio più grande nella digitalizzazione della pubblica amministrazione è riprodurre online le stesse dinamiche burocratiche obsolete, rendendo i servizi inutilmente complicati. Per questo, il lavoro non finisce con la messa online di un portale: è necessario monitorare costantemente i servizi e semplificarli in base ai dati di utilizzo. Un esempio concreto? Il cambio di residenza online.
Quando abbiamo introdotto la procedura sul nostro portale “Bergamo Facile Web”, ci siamo accorti che l’80 per cento dei cittadini continuava a recarsi fisicamente agli sportelli. Abbiamo quindi analizzato il modulo online e capito che era troppo complesso.
Dopo averlo riformulato in un linguaggio più chiaro e intuitivo, il risultato è stato sorprendente: nel 2023, l’89 per cento delle richieste di cambio residenza è stato gestito interamente online, ribaltando completamente la situazione».
La sicurezza urbana è un tema centrale in una Smart City. Quali tecnologie innovative avete adottato?
«I comuni, soprattutto i più piccoli con meno risorse, hanno bisogno di dati per governare. Il mio principio è semplice: non si può amministrare senza conoscere. E i dati, che già possediamo, devono diventare strumenti concreti per le decisioni pubbliche. Un esempio chiaro è l’incidentalità stradale: a Bergamo raccogliamo e georeferenziamo questi dati da dieci anni.
Ma il vero valore sta nel loro utilizzo: se dobbiamo mettere in sicurezza un attraversamento pedonale, lo decidiamo sulla base dei dati sugli incidenti, non per consenso politico. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato all’integrazione dei sistemi digitali per realizzare una Smart City Control Room, un hub che riunisca tutti i dati disponibili: dai flussi di traffico alle ZTL, dalla videosorveglianza alla mobilità urbana.
L’obiettivo è dare ai decisori politici e ai servizi comunali una base dati reale su cui lavorare, per amministrare in modo più efficace. Un altro ambito cruciale è la sicurezza urbana. Stiamo approfondendo le potenzialità dell’intelligenza artificiale applicata alla videosorveglianza: alcuni software, ancora poco diffusi, possono inviare alert automatici in base a ciò che le telecamere rilevano.
Per esempio, distinguere tra un coltello e un ombrello, tra un abbraccio e una rissa, segnalando solo le situazioni critiche agli operatori di sicurezza, che devono monitorare centinaia di telecamere in tempo reale.
La tecnologia offre molte altre soluzioni, come fototrappole per individuare chi abbandona i rifiuti, bodycam per garantire maggiore sicurezza sia agli agenti che ai cittadini, droni per la polizia locale, già in uso a Bergamo: invece di inviare una pattuglia per verificare un abuso edilizio sulle colline, basta un volo di pochi minuti per accertare la situazione, risparmiando ore di lavoro».
Ci sono progetti nel campo dell’energia?
«I dati raccolti nella control room cittadina possono essere utilizzati in molti ambiti, compreso quello ambientale ed energetico. L’assessorato all’ambiente sta lavorando con convinzione su questo tema, che rientra tra le sfide del nostro percorso di candidatura tra le 100 città europee impegnate sul climate change.
L’idea è di sfruttare la sensoristica avanzata per raccogliere dati su consumi e sprechi e ottimizzare l’uso dell’energia. Quanto alle comunità energetiche rinnovabili, nella provincia di Bergamo è stata avviata una delle più grandi esperienze in Italia (è la Cer Imotorre, che conta oltre 6300 pannelli fotovoltaici e più di 3 megawatt di potenza per una produzione di energia green di 4 milioni di kilowatt all’anno, ndr).
Anche su questo fronte sono in arrivo incentivi, ed è un settore su cui diversi attori stanno lavorando».
Quali sono le principali sfide che Bergamo dovrà affrontare nel prossimo futuro per diventare una Smart City a tutti gli effetti?
«Abbiamo in corso uno studio per la Smart City Control Room e siamo interessati a lavorare su un digital twin della città, ricercando possibilmente fondi europei, per simulare scenari e ottimizzare la gestione urbana. Un’altra sfida è rendere i servizi sempre più cittadino-friendly: come abbiamo detto innovazione non significa solo portare tecnologia, ma migliorare i processi. Dobbiamo eliminare le resistenze ai pagamenti digitali ancora presenti (nel 2015 siamo stati la prima cashless city d’Italia) e ridurre la burocrazia inutile.
Ma soprattutto, per innovare davvero serve investire sulle persone. Oggi c’è un divario enorme tra pubblico e privato: un ingegnere informatico nella PA guadagna un quarto rispetto a chi lavora in azienda. Chi sceglie la pubblica amministrazione lo fa per una questione di stile di vita, ma se vogliamo attrarre talenti, dobbiamo ripensare il sistema».
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