La lotta alla fame e il contrasto allo spreco alimentare hanno un posto di primo piano tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. In Italia esiste una realtà che ne ha fatto la propria missione da 35 anni: è la Fondazione Banco Alimentare
Nata nel 1989, questa rete nazionale di solidarietà si sviluppa attraverso 21 banchi regionali e si impegna ogni giorno per evitare che cibo buono finisca sprecato: raccoglie gratuitamente eccedenze alimentari (prodotti perfettamente commestibili che per varie ragioni di mercato non possono più essere commercializzati) e alimenti donati e li distribuisce alle associazioni che si occupano di indigenti. A
Attualmente è arrivata a servire oltre 7.600 enti caritativi e quasi 1.800.000 persone in totale.
Solo l’anno scorso l’organizzazione è riuscita a distribuire oltre 115 tonnellate di cibo, raccolte anche grazie all’ormai famosa iniziativa solidale della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che si tiene a novembre. Ma non solo: l’attività di Banco Alimentare è quotidiana e coinvolge una rete fatta in gran parte da volontari. Un circuito virtuoso di recupero eccedenze e lotta allo spreco che ha le sue radici nei principi della sussidiarietà e della carità.
FONDAZIONE BANCO ALIMENTARE IN NUMERI |
1: Fondazione, con sede a Milano |
21: sedi regionali |
oltre 7.600: enti caritativi serviti |
quasi 1.800.000: persone in difficoltà raggiunte |
oltre 115mila: tonnellate di cibo distribuite nel 2023 |
oltre 200: dipendenti |
quasi 2mila: volontari stabili impegnati |
Presidente Bruno, che Italia osserva la Fondazione Banco Alimentare? Quali trend verificate nella richiesta di alimenti negli ultimi anni?
«Le recenti anticipazioni Istat segnalano che nel 2023 le persone in povertà assoluta (non in grado di permettersi le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile, ndr) sono cresciute al 9,8 per cento della popolazione con un forte impatto sui minori cresciuti al 14 per cento del totale. Negli ultimi dieci anni siamo passati dal 6,9 al 9,8 per cento della popolazione residente, 5.752.000 persone di cui i minori sono oltre 1.300.000: una crescita costante che purtroppo non accenna a rallentare».
L’attività di Banco Alimentare sposa alcuni obiettivi chiave dei SDGs, in particolare i Goal 1 e 2 (lotta alla povertà e alla fame), ma anche il 12 (produzione e consumo sostenibili): quali sono le principali sfide che affrontate nel perseguire questi obiettivi?
«Un’attività che mostra come la valorizzazione delle eccedenze agro-alimentari per scopi sociali può e deve essere sempre più parte integrante e non residuale dei diversi processi della produzione, trasformazione e distribuzione alimentare. È del tutto evidente che occorre un impegnativo cambiamento culturale per cui tutti possano sentirsi parte di un processo che ha come fine ultimo il bene comune.
È cruciale riconoscere il contributo e le competenze che il Terzo Settore oggi dà e ancor più potrebbe dare nel prevenire e ridurre le perdite e gli sprechi alimentari apportando benefici a tutti gli anelli della catena alimentare e non solo ai destinatari finali, allargando a tutti i diversi attori la possibilità, nel loro agire, di una forte valenza sociale e quindi culturale, capace di andare oltre una pur indispensabile efficienza».
Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU pongono grande enfasi sulla collaborazione tra i settori pubblico e privato per raggiungere i risultati desiderati. In che modo il vostro rapporto con il governo e altre organizzazioni non governative contribuisce alla realizzazione degli obiettivi comuni di sconfiggere la fame e promuovere la sicurezza alimentare? Cosa chiedete alle istituzioni oggi?
«Abbiamo sempre definito il Banco Alimentare “un ponte” tra mondo profit e non profit e istituzioni: l’importanza e l’impatto del cibo sulla salute non può prescindere da collaborazioni, partnership con le diverse istituzioni competenti. Si diceva prima del Manuale delle buone prassi validato dal Ministero della Salute, o la necessità di collaborazione strette con le autorità portuali, l’ordine dei veterinari, autorità giudiziarie, che sono necessarie per il recupero del pesce di grossa taglia che si effettua in Sicilia, o le implicazioni delle diverse autorità per il recupero dalle navi da crociera.
Questo 2024 peraltro si è aperto con le stesse medie di alimenti recuperati dall’industria, dalla Grande Distribuzione e dalla Ristorazione Collettiva, ma – per problemi tecnici e amministrativi – con significativi cali dei prodotti provenienti dai fondi europei e nazionale: è auspicabile un rafforzamento delle strutture ministeriali preposte per evitare che ritardi e disservizi si trasformino in un ulteriore danno per le tante famiglie in difficoltà. In questo periodo purtroppo la situazione sta diventando sempre più preoccupante e difficile».

Quali sono le cause maggiori di spreco alimentare? Quali prodotti vengono maggiormente sprecati e in quale fase del ciclo di produzione/vendita?
«Si calcola che a livello mondiale poco meno di un terzo di quanto viene prodotto va poi sprecato; secondo la Fao, nel 2022, oltre il 14 per cento si perde prima di essere commercializzato, mentre oltre il 17 per cento viene sprecato dai consumatori finali, dalla ristorazione e dalla vendita al dettaglio. Da notare che circa il 50 per cento avviene nelle famiglie e quindi per definizione “irrecuperabile” da realtà come la nostra, ma certamente evitabile con una sempre più attenta educazione, cosa che cerchiamo di fare da anni a partire dalle scuole».
Cosa chiede Banco Alimentare al mondo delle imprese della distribuzione e del food nell’ambito della lotta agli sprechi?
«Chiediamo di sempre più considerare la donazione delle eccedenze alimentari come una fase “ordinaria” dei loro processi produttivi, soprattutto con il crescere dell’importanza degli Esg, degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, dell’aumentata sensibilità e consapevolezza dei problemi ambientali legati ai cambiamenti climatici.
Come Fondazione abbiamo avviato un progetto triennale di ricerca – con il Food Sustainability Lab della School of Management del Politecnico di Milano con la collaborazione di Fondazione per la Sussidiarietà – con l’obiettivo di raccogliere informazioni e dati utili sul tema della misurazione e gestione delle eccedenze, del recupero e della donazione nella filiera agroalimentare.
In occasione di Cibus, sono stati illustrati i risultati della prima indagine realizzata sull’industria della trasformazione alimentare: un’opportunità per valutare come aumentare i volumi di raccolta e allo stesso tempo valorizzare lo sforzo delle aziende nel dare consistenza e valore ai processi di controllo, misurazione e donazione delle eccedenze per una maggiore efficienza aziendale, concreta CSR e per contribuire alla lotta allo spreco.
Dalla ricerca, infatti, è emerso chiaramente come la donazione a scopo sociale sia il volano di strategie di prevenzione dello spreco e che le due attività risultano essere complementari nel raggiungimento dello stesso obiettivo, a vantaggio dell’ambiente e delle persone in difficoltà».
A questo proposito, perché le aziende scelgono di collaborare con voi? Avete nuovi progetti in mente per coinvolgere il mondo delle imprese nel futuro?
«Per noi, aumentare la capacità di interlocuzione con le aziende donatrici di alimenti significa ottimizzare i processi e avere maggiori possibilità di allargare le partnership e potenzialmente avere più cibo da donare a chi si trova in difficoltà. Per le aziende crediamo fondamentale poter interloquire con realtà che possano tutelare la loro reputazione aziendale, garantire la tracciabilità di quanto donato, interfacciarsi a livello digitale in modo sempre più adeguato.
La crescente digitalizzazione dei processi impatta molto sulla nostra operatività e logistica: è un aspetto su cui stiamo investendo molto, con uno sforzo significativo se pensiamo che molte nostre attività sono realizzate grazie a volontari».
In cosa vi proponete di riuscire a essere sempre più incisivi?
«Per noi è fondamentale cercare di capire come stanno cambiando gli assetti organizzativi, le strategie aziendali, in una parola “come sta cambiando il mondo” per poter modificare anche la nostra organizzazione ed essere sempre più efficaci nel “servire” al meglio».
Quale ritiene essere il contributo originale di Banco Alimentare nella lotta allo spreco? Qual è la “lezione” più preziosa imparata nella vostra lunga esperienza?
«Banco Alimentare desidera portare, in uno spirito di solidarietà sociale e di carità, un aiuto a chi è in difficoltà; questo avviene non direttamente ma indirettamente, sostenendo un numero notevole di realtà presenti sul territorio nazionale – oltre 7.600 enti caritativi – in una logica di autentica sussidiarietà orizzontale.
Questo aiuto si realizza attraverso il recupero delle eccedenze alimentari salvate dallo spreco, con un impatto positivo anche sull’ambiente.
Sono tante le “lezioni” apprese in questi anni, ma credo la più preziosa è che la costruzione del bene comune non si realizza senza gratuità: e questo è soprattutto evidente durante la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare (a cui abbiamo accennato prima) che dal 1997 realizziamo ogni anno a novembre davanti a oltre 11.500 supermercati con il coinvolgimento di circa 150mila volontari, invitando a donare anche solo un alimento per chi si trova in difficoltà.
La risposta è sempre di grande generosità e coinvolgimento: pensi che la Colletta viene fatta anche in numerose carceri italiane. Se non è una “lezione” questa».
Che cos’è Siticibo? Un programma della Fondazione Banco Alimentare nato nel 2003 per il recupero e la distribuzione di cibo fresco e cucinato. Da dove proviene il cibo recuperato? Dalla Ristorazione Organizzata (hotel, mense aziendali e ospedaliere, refettori scolastici, esercizi al dettaglio) e, dal 2009, anche dalla Grande Distribuzione Organizzata.
Siticibo si basa sulla Legge 155/2003, conosciuta anche come Legge del Buon Samaritano, che permette il recupero e la donazione di alimenti in eccedenza per scopi sociali.
Come funziona? Dalle mense aziendali si raccolgono i cibi cotti solo in caso di presenza e utilizzo di abbattitore di temperatura; dalle mense scolastiche si recupera frutta, pane e dessert a lunga conservazione; dai supermercati si ritirano prodotti freschi (frutta, verdura, formaggi e affettati, carni, yogurt). I prodotti così recuperati vengono consegnati, utilizzando automezzi refrigerati, direttamente alle strutture caritative convenzionate, la cui sede è vicina al punto di raccolta, perché immediato deve essere il loro consumo.
Qualche numero: oggi Siticibo raccoglie cibo da quasi 2mila punti vendita in circa 900 comuni italiani.
Il presidente Bruno: «Raccogliere e distribuire gratuitamente cibo fresco e cucinato non è questione semplice. Banco alimentare lo fa da 21 anni attraverso una complessa e puntuale rete logistica. Siticibo è la prima applicazione della Legge del Buon Samaritano, fortemente richiesta da Banco Alimentare quale soluzione giuridica a un’impellenza etico-sociale che fino ad allora non si era potuta affrontare: l’elevato spreco di alimenti nelle mense scolastiche e nella ristorazione collettiva, che contrastava con l’allungarsi delle file fuori dalle mense per poveri.
Condizione necessaria per l’operatività è la stipula di accordi tra i diversi soggetti coinvolti. Un insieme di procedure chiare, semplici e di immediata comprensione e applicazione per garantire la tutela del consumatore finale, paradigma di efficacia ed efficienza delle partnerships fra realtà differenti, profit e non profit, e che hanno dato vita alla formulazione del Manuale delle buone prassi, redatto insieme a Caritas Italiana, validato anni fa dal Ministero della Salute».
Per approfondimenti visita il sito della Fondazione Banco Alimentare
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